venerdì 20 aprile 2012

STUDIO DI UN'OPERA

FRANK LLOYD WRIGHT_ FALLING WATER (BEAR RUN 1935)



Il plastico della città di Wright esposto a Pittsburgh nei Grandi ma­gazzini Kaufmann (un bell'edificio del 1885 con motivi della Scuola di Chicago) è l'occasione che fa nascere un nuovo, piccolo, incarico: una casa per il week-end da realizzare per Mr.Edgar Kaufmann, nella grande proprietà di Mill Run, nella foresta della Pennsylvania occi­dentale.
 Il sito prescelto - Bear Run - è meta di rustici soggiorni del­la famiglia in una capanna di legno. È un luogo affascinante, caratte­rizzato da alberi altissimi e grandi rocce e soprattutto da un piccolo torrente - il corso dell'orso - che forma una placida pozza e poi, sal­tando bruscamente di quota, una cascatella.
 

Quello che presiede quest'opera è un incredibile, indicibile senso di RICOMINCIAMENTO. È un re-inizio che per Wright è potuto avvenire questo livello solo perché tra il 1929 il 1932, negli anni della più profonda crisi professionale e spinto dalla nuova moglie, la forte Olga Lazovich, aveva scritto la propria autobiografia. Questa scrittura non è quella di chi nostalgicamente fa un bilancio ultimo e definitivo di una vita da consegnare ai posteri (pur se, evidentemente, i segni dell'autoglorificazione sono presenti e numerosi), è al contrario un'occasione per mettere "in ordine" il pas­sato e per poter quindi ricominciare.
Ma il senso di re-inizio di Fallingwater non è solo rispetto all'ope­ra precedente, ma anche rispetto ad alcune delle armi di progetto sin lì elaborate. Abbiamo visto quanto determinante fosse in Wright l'uso della griglia come sistema di conquista spaziale, di controllo dimen­sionale e costruttivo.
Ebbene, la prima scelta di Fallingwater è pro­prio il RIFIUTO DELLA GRIGLIA. Troppo forte il senso spaziale, l'idea di slancio nello spazio, per poter in alcun modo essere "reticolata". Il salto del cavallo, l'eliminazione di un metodo potentissimo per af­frontare un'altra strada, rischiosa ma necessaria, è il segno dell'indivi­duo che si lancia "SENZA RETI" verso il nuovo della ricerca estetica.

Ecco allora che Wright traccia ogni tre metri una linea ortogonale alla roccia e al flusso del ruscello e una linea rossa ad essa ortogonale. Si formano cinque campate o baie nella direzione nord-sud e una in direzione est-ovest che determinano la struttura dell'organismo. Struttura che è evidentemente costruttiva, ma anche di uso, di direzione, di orientamento verso il sole e il pae­saggio.
Alle baie si oppone un secondo sistema, quello spiraliforme che con scalettamenti successivi aggrappa la casa alla rocce e definisce una corteccia verso nord. A questo punto, ovvio diventa il sistema di funzionamento: spazi serventi - accesso, scale, bagni - verso il cam­minamento (che, superato con un ponte il torrente, conduce alla casa e più tardi - a monte - alla suite degli ospiti), e spazi serviti dalla parte opposta verso l'acqua e la cascata.
Queste scelte di struttura, determinano tutto quando sono accop­piate all'orizzonte poetico inseguito da Wright (“la linea orizzontale della libertà è il respiro stesso della sua architettura” disse). Nelle baie si organiz­zano ovviamente i sistemi della struttura portante che, come tronchi, sorreggeranno in enormi sbalzi i cassetti delle terrazze che muoven­dosi ortogonalmente l'uno sull'altro nei diversi livelli slanciano l'ope­ra all'esterno.
L’IDEA DEL GRANDE FUSTO E DEI RAMI viene rappresentato nei tre materiali: i piani orizzontali ocra in cemento, le strutture verti­cali in pietra grigia, gli infissi, come le vene del sistema che innervano vita, rosse.
Si ritrovano qui tutti i temi wríghtiani. Il senso di espansione nello spazio, qui esaltato dalla fantastica localizzazione e dal movimento del ruscello, il signi­ficato della struttura come conformazione dello spazio, rafforzata dall'uso del cemento armato nelle grandi terrazze in aggetto e dalle mura verso monte, il senso di costruzione centripeta a partire da un nucleo (qui il centro verticale del camino-cucina) ancorato alle roc­ce, la contrazione degli spazi e la loro successiva espansione sino a risucchiare l'esterno, il senso di protezione degli interni.
I contrasti tra verticale e orizzontale sono laceranti e non appa­ganti. I corpi verticali in pietra da taglio stridono accanto agli immen­si sbalzi ocra delle terrazze.  I coni d'ombra determinati dagli aggetti spezzano e dilaniano la composizione, gli infissi rossi in ferro, corro­no come lame in verticale e in orizzontale. I piani orizzontali come le eliche del mulino si avvitano nell'aria. L'insieme può essere sentito solo come evento.

L'architettura è astratta, nuova, violentemente contemporanea.









IL BANG DELL'ARCHITETTURA



EXTEMPORE 18 APRILE